Eugenio d'Ors
GLOSAS EN OTRAS LENGUAS
TRE NATURE MORTE
(traduzione di Luciano Anceschi),       
Prosa III, Quaderni Internazionali, All'insegna della medusa, Arnoldo Mondadori Editore, Verona, 1946, pp. 245-246.
 
ROSE E LIMONI.— La mano —ora lontana, e invisibile—, prima de chiudere la porta senza rumore —un rumore, che l'avesse fatta avvertire, le avrebbe impedito di allontanarsi—, ha lasciato —ultima volontà— tre fiori in un vaso di Talavera: per rose, troppo molli; troppo profumate, per peonie. Tre fiori del tutto schiusi, sbocciati.
Appoggiata sulla tovaglia piegata sotto di loro, ci sono, per altro, tre limoni gialli, concreti quanto a forma, e rotondi, e definiti, ciascuno con il suo doppio capezzolo:  come picoli villaggi compatti tra le pieghe di un sistema orografico.
Vicino ai limoni, le rose illanguidiscono. Se figurano molli e deboli fino a domigliare a peonie, questa è operazione, magia, iettatura dei limoni.
Ma, ricambiando col bene il male ricevuto, éccole, in punto di venir meno sull'orlo del vaso —col loro delicato alito—, confondersi alla chiusa asprezza dei limoni, e romperla.

IL TACCHINO .— No, non può esser bianca l'orrenda nudità di questo monte di grasso spiumato. Sul punto di aver la purezza del'oro, il giallo si rastrema sulle prominenze tonde. E vedi, per altro, nelle curve, un rosa incerto; e un ambiguo azzurro nella cavità.
E c'è la pelle, la pelle fredda; e che sembra aver freddo, che tende, stirandola fino a romperla, que e là, la sua trama di salvietta spugnosa; e si logora, già fatta callosa nelle sue quadruplici articolazioni repiegate, e nelle molli rughe, tracce della fatica di tanto pontare.
E le due ferite. Spaventosa, tra certe piume, quella del collo, da cui si svuolta il sangue. E ridicola, netta, con qualche pelo, quella da cui si tolsero le viscere.
E l'occhio, semichiuso, piccolo, rotondo, nero, con uno stretto angolo di luce, —che è quasi una vita, —quasi un rimprovero.

INTERNO DEL XIX SECOLO .— Studio di pittore, cinquant'anni fa, circa, con il segreto —ormai dimenticato— degli angoli, così caldi agli sguardi. Proprio come questo, con il granato dei velluti e il bronzo dei candelabri, e il riflesso —immobile per la sua stessa intensità— di un gran fuoco, nel camino.
Sue accordi: ecco, un ninnolo cinese in avorio, e il piccolo groppo formato da un palo di lunghi guanti stretti, di capretto color crema, che hanno qui intrecciato la loro fatica per essersi stirati oltre i gomiti… E il mazzo di garofani bordò, e il violino color sangue raggrumato, con lo scuro delle sue «f»: altri accordi.
Solo due calici, esili como flauti di Boemia, in cui resta ancora, a livello disuguale nel vetro, del vino biondo, sembrano capaci di svelare il misterio galante, che, in un'ora così lenta, ha riunito i guanti, l'avorio, i garofani, il violino.
Ma lo specchio, nella sua cornice di ebano istoriato, è appeso molto in alto, e come appannato: ormai, non riflette altro che, in una emulsione di vaghi fantasmi, la solitudine.
 
 

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Última actualización: 1 de diciembre de 2006